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Nicoletta Magnani © 2024
Si può dare tempo al tempo. Ma perché proprio il nostro? Le mie ore sono strette stanze affacciate sul tuo chiostro. C’è un custode, che cura le piante. Essenze rare, non tante. Prendono l’ombra del colonnato e il sole quando gira. Abbandonano qualche foglia sul selciato in onore di chi le ammira. Si può. Dare tempo. Al tempo. Ma c’è un gradino, basso e nascosto, in cui ogni tanto inciampo, facendo il giro del chiostro. Col naso all’insù, osservo le finestre. Delle celle. Le mie ore. Tutte, non solo le più belle. Le finestre chiuse. Sono le ore. Che trascorro senza vederti. Il calore del sole non entra se gli infissi non sono aperti. Ma a volte, tra le fessure delle imposte, filtra un raggio. Come il consiglio di un vecchio saggio. Che comunque può sbagliare. E mi ritrovo a guardare. La pianta di limone. Che ha fatto un solo frutto, enorme e fuori stagione. Ma il profumo che si avverte timido dalla scorza rugosa, s’è un poco confuso col giallo della mimosa. Forse non osa. Sapere d’altro. Teme di non essere. Abbastanza scaltro. E in qualche stanza. Che resta chiusa. Uno strano desiderio di te, fintamente, riposa. Il guardiano. Che cura la mia rosa nell’angolo preferito. Forse sa. Che il tempo. Non è infinito. Ma si può donare. Al tempo. A te. Alle essenze. Soprattutto a quelle più rare.